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Giorgio Faletti "Fuori da un evidente destino"

Aggiornamento: 13 ott 2022


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La recensione del thriller Fuori da un evidente destino di Giorgio Faletti


Il genere thriller viene spesso e ingiustamente considerato un tipo di letteratura meno ambiziosa (per non dire di dubbia qualità). Non è difficile constatare, perché succede così. Lo scopo di questo genere è per lo più evocare nei lettori sentimenti di incertezza, di paura o perfino di terrore, in poche parole fornire loro una scarica di adrenalina. I fatti narrati vengono presentati in modo rapido e, grazie a ciò, l’azione si svolge velocemente. I romanzi di questo genere vengono non a caso associati ai film d’azione (per essere più preciso di serie B, piuttosto che di serie A), che prevalentemente forniscono al pubblico un intrattenimento non tanto raffinato.


Ma è veramente giusto attenersi a questo cliché? A mio parere non lo è e, se ciò' avviene, è un modo di ragionare fin troppo semplicistico. A pensarci bene, creare nel lettore un sentimento di continua incertezza, o di spavento, non sembra tanto facile quanto pare.


A dire il vero, l’autore ha a disposizione diversi strumenti narrativi (ad esempio i colpi di scena, la suspense o gli improvvisi picchi di ansia) che gli permettono di utilizzare la tensione come elemento principale della trama. Occorre ricordare, però, che quando questi mezzi vengono usati in modo improprio, possono evocare nel lettore un effetto opposto a quello desiderato o, in alcuni casi estremi, diventare perfino ridicoli.

Il romanzo Fuori da un evidente destino è il terzo libro di Giorgio Faletti (dopo Io uccido e Niente di vero tranne gli occhi) che appartiene a questo tipo di genere letterario. L’autore ha ambientato la sua storia in Arizona in un riserva della tribù Navajo. Qui un indiano, durante un’escursione di caccia tra le montagne, trova un antico reperto nascosto dentro una caverna. Questo manufatto, qualche secolo prima, apparteneva ad uno dei suoi antenati e dagli sciamani Navajo veniva chiamato “il vaso di terra”. Non parliamo di un oggetto qualsiasi.


Era fatto d’oro e nascondeva un grande mistero. Secondo la leggenda questo reperto possedeva un’enorme forza e veniva usato dagli sciamani duratne i riti magici. L’ultimo rituale, però, per motivi imprevisti, non era stato portato a termine. Quasi due secoli dopo, durante l’occasionale ritrovamento, il vaso di terra viene riscoperto. Quando l’inconsapevole esploratore ha versato il suo contenuto sulla terra, la formula dell’incantesimo è stata finalmente conclusa, portando sulla terra un misterioso vendicatore.

Sia il luogo dove si svolge la narrazione, che la cultura della tribù dei Navajo, cioè dei nativi abitanti di questo territorio, ancora oggi sono considerati esotici per il lettore europeo. Nonostante ciò, Faletti con grande disinvoltura descrive la realtà odierna del sud-ovest degli Stati Uniti. I luoghi dove la storia è ambientata, ovvero la città di Flagstaff e Humphrey’s Peak (la montagna sacra per i Navajo), esistono davvero e l’autore, dato che ci aveva abitato per un certo periodo di tempo, li descrive in modo molto realistico.


I riferimenti storici e quelli riguardanti la cultura dei Navajo sono invece il frutto di scrupolosi studi dello scrittore. Bisogna rendergli giustizia dicendo che ha fatto una ricerca veramente approfondita dell’argomento e, grazie a ciò, è riuscito a descrivere in modo molto colorito e interessante diversi costumi e fatti storici di questa tribù.

Il romanzo è veramente ben narrato. L’autore fin dal primo capitolo tiene il lettore con il fiato sospeso. È evidente che Faletti si senta a proprio agio scrivendo storie da brividi. Egli crea molto agilmente l’atmosfera del mistero e della crescente tensione, manipolando facilmente le emozioni dei lettori.


L’intreccio è stato scrupolosamente costruito dall’autore. Ci sono numerosi flashback che permettono a chi legge di conoscere meglio i protagonisti, i loro segreti, le motivazioni dietro le loro azioni e di conseguenza proseguendo nella lettura, modificare i propri sentimenti nei loro confronti.

Per arricchire la storia, e nello stesso tempo renderla più comprensibile al lettore, Faletti ha deciso di presentare i fatti che erano successi quasi centocinquant’anni prima rispetto agli eventi raccontati. È un intervento brillante che da una parte permette di capire il senso di ciò che accade nella trama e dall’altra dà ai lettori la possibilità di seguire parallelamente due diversi filoni narrativi separati dall’arco temporale.

C’è, però, un elemento con cui Faletti, secondo me, non se l’è cavata. Penso allo svolgimento logico dei fatti raccontati. Il problema è che l’autore ha scelto un fantasma come esecutore di un’antica maledizione. Succede che il modo di agire di esso non è talvolta troppo razionale, in conseguenza diventa incomprensibile per il lettore. Non lo so, magari proprio così agiscono le forze soprannaturali, magari non tutto può essere compreso dagli esseri umani, ma il genere thriller richiede di presentare i fatti nella catena logica degli eventi, altrimenti si priva il lettore del piacere di partecipare alla risololuzione dell’enigma. A mio parere è l’unico difetto di questo romanzo.

Ian Flaming, il famoso scrittore inglese di thriller, il creatore del super eroe James Bond, spiegava come si può facilmente riconoscere un buon thriller: è un libro leggendo il quale il lettore desidera voltare subito la pagina. Secondo me, Giorgio Faletti ha raggiunto questo scopo. Nonostante le piccole imprecisioni, il suo thriller si legge con il fiato sospeso, provando grande ansia.

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